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30 abril 2007

Impiantato pacemaker antidepressione

Anche alle Molinette di Torino sperimentata la stimolazione
del nervo vago contro il «mal di vivere» resistente ai farmaci
STRUMENTI

TORINO - Impiantato all'sopedale Le Molinette di Torino un pacekaer anti-depressione. Tecnicamente si tratta dell'inserimento di un impianto di stimolazione del nervo vago (Vns, da vagal Nerve Stimulation) contro la depressione resistente alle cure farmacologiche. A livello del collo viene posizionato un elettrodo intorno al nervo vago, connesso con uno stimolatore di piccole dimensioni collocato nel petto. Il trattamento è autorizzato dall'Unione Europea e, come metodica, era già stato approvato negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration nel luglio 2005. A eseguirlo sonono stati gli psichiatri Filippo Bogetto e Giuseppe Maina e i neurochirurghi Alessandro Ducati e Michele Lanotte, che hanno avviato un progetto congiunto di trattamento della depressione maggiore grave con la terapia chirurgica Vns. La prima operazione è stata effettuata a marzo e i risultati dai medici vengono giudicati soddisfacenti.
L'intervento non è per tutti: la selezione dei pazienti è motlo severa. Vengono scelte unicamente persone affette da depressione grave e refrattaria ad altre terapie. Il trattamento è generalmente ben tollerato. Gli effetti collaterali post-operatori più diffusi sono lieve raucedine e tosse, ma si tratta di disturbi transitori. Il paziente non corre il rischio di overdose da superstimolazione.





PAZIENTI ANZIANI - «Il pacemaker antidepressione è già stato utilizzato in Italia, negli ultimi 5 anni, su circa una ventina di pazienti e non è un trattamento adatto a soggetti giovani», precisa il neurologo Orso Bugiani, dell'Istituto neurologico Besta di Milano, che mette in guardia dai facili entusiasmi: «Non è la panacea o la soluzione al problema della depressione farmacoresistente bensì rappresenta la possibilità di migliorare lo stato depressivo in una piccola percentuale di pazienti, il che non è comunque poco».
«Questo tipo di intervento: è infatti indicato soprattutto per pazienti anziani, oltre i 65 anni, nei quali la depressione dura da anni. È infatti necessario molto tempo per poter stabilire con certezza che una forma depressiva è farmacoresistente e una simile diagnosi in un paziente giovane e malato da un tempo relativamente breve sarebbe, ovviamente, a rischio di errori». Quanto ai risultati: «Nei pazienti che ho potuto osservare, tutti con un'età superiore ai 60 anni - ha affermato Bugiani - i risultati sono molto buoni e si è registrato un miglioramento importante dello stato depressivo». Anche a livello europeo, ha ricordato, «si tratta di una tecnica molto studiata e si è appena concluso uno studio su 80 pazienti di diverse età ai quali è stato impiantato il pacemaker. L'obiettivo dello studio, i cui risultati non sono però ancora stati pubblicati, è capire meglio l'indicazione precisa per l'uso di questa metodica». Insomma, la tecnica è sotto i riflettori degli esperti: «È necessaria cautela - ha concluso Bugiani - anche se, solo al Besta, sono già vari i pazienti in attesa di effettuare l'intervento».

Dal Corrierie della Sera.